Descrizione
I legami delle tenebre è una saga dark urban fantasy con elementi crime e mystery.
Accordi è il secondo volume della trilogia.
Darkness Ties Saga è scritta da Francesca Caizzi e pubblicata da Plesio Editore.
Henry avanzò nella penombra. Il calpestio degli stivali echeggiò nel garage semivuoto. Mosse un altro passo, dimenticandosi di non caricare il peso sulla gamba destra, e dal tallone si irradiò una scarica di dolore in quella metà del corpo. Il ginocchio tremò, preda di spasmi dei muscoli contratti e indolenziti.
Non era ancora guarito.
Un braccio amico gli si appoggiò al fianco. Henry intercettò nel chiarore della torcia la barba brizzolata di Colin. Rimase in equilibrio, e con la mano libera si toccò la coscia. Sotto le dita la carne strideva per la fatica. Asciugò il palmo sudato sulla divisa in kevlar e fece un cenno con il mento al compagno. L’aria umida sapeva di ruggine. Henry sentì il sapore del sale sulle labbra secche.
Da quante ore non beveva?
«Maggiore Diaz, perché le risorse non avanzano?» la voce roca di Calvin Price nell’auricolare riscosse Henry, che sussultò. I suoi incubi non erano mai stati così veri. Il nuovo capo della squadra, adesso rinominata Elite Omega, incarnava tutto ciò che lui odiava.
«Avete sentito? Rispondete!» aggiunse Felipe Diaz in tono di rimprovero.
Il cervello di Henry divenne bollente più della sua stessa pelle. Strizzò gli occhi e strinse i pugni.
«Colonnello, stiamo studiando il posto per stanare il nemico» rispose Colin con fare sottomesso.
Henry non accettava più quella situazione, quegli atteggiamenti. E quelle persone.
Fece un respiro e analizzò il sotterraneo. Guardò in alto: i neon erano stati rotti e a terra c’era un tappeto di frammenti di vetro. O forse era plastica? Puntò la torcia dapprima alla sua sinistra e poi alle due auto parcheggiate nei posti delimitati da strisce azzurre. Sembravano vuote, ma controllarle da vicino gli avrebbe richiesto uno sforzo ulteriore che non era disposto a compiere.
Colin si scostò dal suo fianco e si diresse verso le colonne che conducevano alla sala successiva. Sonya trotterellò dietro di lui, con il fucile puntato verso il buio. Nessuno dei due gli rivolse uno sguardo d’intesa, o di conforto.
Henry per istinto toccò l’elmetto sopprimendo il desiderio di lanciarlo via e di distruggere quella maledetta telecamera che osservava ogni loro mossa. Credeva di aver vissuto l’inferno da adolescente, fino a quando Trevor non lo aveva salvato, ma avrebbe pagato qualsiasi prezzo per uscire da quello in cui era piombato adesso.
Imbracciò anche lui l’arma e seguì i compagni, stando attento ad affidarsi al lato meno indolenzito. Si mosse seguendo le loro auree verdi fino a raggiungere la schiena della mezzo-demone.
«È qui» comunicò Colin, poi esplose un colpo di avvertimento verso l’angolo più a sud.
Henry aveva la visuale limitata dalla stazza dell’amico, ma sotto le luci delle torce intravide il demone che stava iniziando a mostrare il suo vero aspetto.
«Maggiore Diaz, confermo che si tratta del soggetto W-0-7, chiedo il supporto della squadra Terra uno» riprese Colin. Passarono alcuni secondi. Nessuna risposta. «Colonnello Price?»
Henry deglutì e si morse la lingua per evitare di dire qualcosa di irreparabile a scelta fra tutta la collezione di insulti che aveva accumulato.
«Fate attenzione» aggiunse Colin rivolto ai compagni, poi indietreggiò, rimanendo a poco più di un metro di distanza, a fargli da copertura.
Henry illuminò il nemico dai vestiti strappati. La massa muscolare stava aumentando e le braccia si gonfiarono fino a esplodere. Al di sotto della pelle i muscoli vivi, i cui lembi si sfilacciavano e si ricollegavano man mano che crescevano.
«Lasciatemi in pace. Non ho ucciso nessuno, lo giuro» esclamò il demone in tono docile.
Che si fosse trasformato solo per istinto di sopravvivenza?
«Avanzate, ma non uccidetelo. Dobbiamo catturarlo vivo» parlò Price all’improvviso, e le sue parole provocarono in Henry una fitta allo stomaco. «Terra uno, preparate i faretti. Terra due, in posizione con i fumogeni» continuò Price con il solito cipiglio. «Acqua, nelle retrovie. Fuoco, interverrete appena il nemico sarà indebolito.»
Henry rimpianse Max e la sua presenza rassicurante, pur con quell’atteggiamento strafottente; con lui non aveva mai conosciuto la vera paura di non farcela.
Si focalizzò sul mostro. Era mutato, e ora era grosso il triplo, ma teneva i palmi aperti davanti a sé e la testa china. Henry agganciò la torcia al fucile e gliela puntò sul viso. Il demone si schermò la vista. «Lo giuro, non sto con…»
Anche i demoni avevano paura di pronunciare il nome di Misael?
«Fatemi stare qui» concluse.
Colin abbassò di poco l’arma. «Arrenditi e basta, ti porteremo con noi.»
Il demone avanzò remissivo, incespicando sulle scarpe sportive deformate dalla trasformazione.
Non è possibile, pensò Henry. Quel comportamento era innaturale. Lo avrebbe accettato se si fosse trattato di un’altra tipologia di nemico. Non quello. Stava tramando qualcosa. «È una trappola» concluse ad alta voce.
E infatti nel garage si propagò l’eco di passi rapidi, e altri due Demoni Pugili sbucarono dalle aperture laterali. Erano completamente nudi. Uno di quelli si lanciò dritto contro Henry, che lo tenne sotto tiro, con la torcia a illuminargli il petto. Quando fu abbastanza vicino, premette il grilletto. Ma poiché era instabile su quelle gambe ferite, perse l’appoggio e il rinculo lo spedì con le natiche sul pavimento. L’impatto gli provocò un brivido ramificato negli arti e nelle tempie.
Intorno a lui si generò una tempesta di fuoco. Con la coda dell’occhio, notò che Colin e Sonya si erano spostati: i fasci di luce delle loro armi si muovevano in scatti rettilinei.
Henry, ancora a terra, puntò l’arma sul nemico, rendendosi conto di non averlo nemmeno scalfito. I pallini dovevano essersi persi in quell’ammasso di muscoli che parevano pompati di steroidi.
Sparò alla spalla sinistra, e l’impatto la fece indietreggiare di poco. I muscoli vibrarono e sputarono i proiettili insanguinati. Il mostro ghignò e scattò in avanti. Henry esaurì le cartucce esplodendole sulla gola e sul petto del demone, ma lì la carne sembrava ancora più spessa. Ricaricò l’arma e il nemico lo raggiunse, allora appoggiò la canna sul basso ventre e sparò.
Il mostro emise un grido e lo afferrò dal bavero della divisa, lo sollevò all’altezza degli occhi e gli diede una testata, poi scosse la testa come un cane e socchiuse le palpebre.
Henry ringraziò di avere addosso quel casco che tanto odiava. Lasciò cadere l’arma e appoggiò le mani sul nemico, le dita si impregnarono al viscidume, come se fossero ricoperte di bava.
Il demone abbassò il braccio destro e lo colpì con un pugno alle costole. Henry tossì e si piegò sul fianco, finendo ancor più tra le grinfie del nemico. Piegò al petto i pugni stretti, in attesa di potersi difendere o contrattaccare. Ma l’altro continuò a tenerlo, anche se adesso i piedi di Henry toccavano terra.
Arrivò un altro pugno e stavolta riuscì a schivarlo spostando il tronco all’indietro. In questo modo si sfilò anche dalla presa. Ruotò le spalle e caricò un montante al di sotto dell’ascella. La sua stazza era minuta rispetto all’avversario; anche se lo inondò di tutta la forza possibile, non accusò la botta e fu lui a risentire del contraccolpo fino alle scapole. Avrebbe dovuto batterlo in velocità, ma come poteva allontanarsi con le gambe ferite?
Il demone assunse una posizione di guardia e lui fece lo stesso. Poi l’altro tese il braccio per dargli un gancio e Henry si abbassò e si spostò sotto di lui. Si gettò di peso e lo placcò per sbilanciarlo, ma il nemico lo compresse ai fianchi con due pugni in contemporanea. Henry aprì la bocca, non aveva più fiato. Il mostro lo teneva stretto, ma doveva liberarsi e resistere, perché anche stavolta sarebbero rimasti da soli a combattere. Come sempre.
Sfilò dalla cintura un bastone retrattile e lo colpì dietro al ginocchio, ma quello non cedette. Nonostante fossero avvinghiati, gli diede una scossa elettrica alla massima potenza, che si propagò nel corpo di entrambi. Henry sentì la pelle tirarsi e formicolare sotto la divisa, la sensibilità ormai mandata in tilt. Batté i denti, il corpo tremante. Pensò di essere quasi morto, mentre il sangue ribolliva.
Venne lanciato di peso e finì di schiena contro la colonna accanto a una delle auto. L’impatto fu così forte che sentì le ossa scricchiolare.
«Colonnello!» la voce di Emily rimbombò nell’auricolare.
«Squadra Fuoco, intervenite. Terra uno, accendete i faretti.»
Henry provò odio. Solo adesso Calvin Price aveva finalmente deciso di concludere quel dannato spettacolo.
Il mezzo-demone sputò un grumo di sangue. Non era grato, ma piuttosto schifato. Le luci si accesero e poté individuare i compagni lottare contro gli altri due Pugili a una decina di metri.
Il nemico che gli era davanti, però, arrancò nella sua direzione e gli afferrò le gambe. Henry fu di nuovo costretto a dargli la scossa e a prenderla lui stesso, fino a quando non vide Adam nel suo campo visivo, con la mascella serrata e lo sguardo feroce di chi insegue una preda da tempo.
Non era il solito Adam.
Aveva tra le mani uno dei fucili potenziati da Nathan, e non esitò ad andare addosso al mostro per sparargli a distanza ravvicinata. Dalle canne mozze fuoriuscì una scintilla e quando i proiettili impattarono nei muscoli, generarono una piccola esplosione. Pezzi di tessuto volarono via e si tramutarono in polvere nera. Nel sotterraneo si diffuse una puzza di carne bruciata, come se avessero appena iniziato ad arrostire qualcuno.
Henry ebbe un conato. Anche questo non era da lui, abituato a sciogliere cadaveri e ripulire ogni area dopo uno scontro. La reazione gli fece capire di aver ormai perso se stesso. Rimase lì, inerme e dolorante, immobile spettatore di una battaglia che aveva iniziato a odiare. Anche quando vide Emily dare supporto a Colin e Sonya fu incapace di provare sollievo. O sicurezza. O il desiderio di correre da lei.
Il dolore alla schiena era così forte da provocargli un formicolio fino alle dita dei piedi. O forse erano i residui della scossa. Il fianco gli bruciava. Sfiorò le costole e gli mancò il fiato. Probabilmente ne aveva qualcuna incrinata, o magari questa volta si era guadagnato anche un’emorragia interna.
Richiuse gli occhi e si abbandonò al senso di solitudine che da tempo lo ghermiva, quel placido senso di pace fittizia che avrebbe trovato alla fine dei suoi giorni. E non era mai stato così tanto vicino alla morte come negli ultimi mesi. C’era stato Cerbero, sì, ma le sue ferite avevano sempre trovato il modo di guarire. Poi era stato costretto ad accettare un susseguirsi di giorni carichi di sofferenza. E adesso avrebbe voluto soltanto raggiungere Trevor. Forse lì avrebbe trovato la pace che anelava.
Rimase con le palpebre abbassate finché i rumori della battaglia non si affievolirono, ma quando le riaprì vide un’altra delle scene che detestava. Il suo mondo era cambiato completamente.
Due demoni erano stati abbattuti, ma quello con indosso i vestiti era ferito, gli mancavano dei pezzi di massa muscolare qua e là, e nel polpaccio destro si intravedeva l’osso. Era incurvato su se stesso, ingobbito, mentre gocciolava fluidi neri.
Quattro militari lo bloccarono con delle corde d’acciaio e gli iniettarono una sostanza che dapprima gli provocò delle convulsioni, poi lo fece accasciare al suolo, mantenendo la trasformazione. Henry sapeva quali sarebbero state le fasi successive: collare, museruola e catene. Anche lui avrebbe condiviso la condizione di prigioniero.
Quanti ne avevano catturati fino ad ora? Aveva perso il conto. E continuava a chiedersi cosa ne facessero di quei demoni.
In passato Henry era perseguitato dai sensi di colpa e avrebbe voluto tentare di parlare con i nemici, per sapere se ci fossero alternative alla morte. Ma adesso sarebbe stata una liberazione.
Per loro.
Per lui.
Non ne poteva più di assistere a quella messinscena, così richiuse di nuovo le palpebre. Passarono alcuni minuti, poi sentì delle mani afferrarlo e sollevarlo. A quel punto, si costrinse a tenere aperti gli occhi. Colin, alla sua destra, e Adam, a sinistra, lo fissavano preoccupati.
«Stai bene?» chiese quest’ultimo.
No, avrebbe voluto dire Henry, e cercò nel viso di Colin un conforto.
«Reggiti a noi» aggiunse l’altro mezzo-demone.
Henry percepì ogni parte del suo corpo che chiedeva pietà. Respirò a pieni polmoni, ma mentre prendeva aria sentì le costole soffocarlo. Quando gonfiava il petto, per riflesso, gli si spezzava il fiato.
Risalirono la rampa e uscirono all’esterno su Nicola Street. Henry alzò il viso al cielo terso. Il sole era ingabbiato dietro le nuvole, e a breve anche a lui sarebbe toccata la stessa sorte. Gli mancava l’aria fresca, il sole sulla pelle, il profumo di un buon caffè. La normalità data per scontata non esisteva più.
Si guardò intorno. C’erano alcuni veicoli a bloccare la strada delimitata da transenne. Un paio di gruppi di militari tenevano i curiosi lontani dal perimetro. Colin e Adam ripresero la marcia e girarono oltre la curva, costeggiando la strada che si affacciava sul porto turistico di Coal Harbour. Henry si perse a osservare le barche ormeggiate. Un pensiero fulmineo. Rubarne una e scappare.
Un sogno irrealizzabile.
Scosse il capo e cancellò quell’idea. Si nutrì di ossigeno a poche boccate e tossì quando lo smog dello scarico del furgone nero gli pizzicò le narici. Le costole si opposero agli spasmi. Henry boccheggiò e trattenne il fiato per zittire il dolore.
Colin bisbigliò: «Resisti, siamo quasi arrivati.»
Ma, mentre stavano superando il veicolo, la stazza corpulenta di Calvin Price apparve tra le porte aperte sul retro. Henry riprese a respirare, e al gas si aggiunse il puzzo del sigaro. Ebbe un conato e deglutì per non vomitare.
Price chiamò un gruppo di militari con un fischio e un gesto della mano. «Scortate le risorse al quartier generale» ordinò, poi indicò Henry. «E rimettete in sesto quello lì. Ci serve.»
Se non fosse stato così ferito, il mezzo-demone lo avrebbe preso a calci.
Proseguirono fino a un secondo furgone scuro. Henry lasciò che i compagni lo aiutassero a togliere l’equipaggiamento, poi Sonya si sostituì ad Adam per fargli da appoggio per salire sulla camionetta adibita al trasporto dei prigionieri.
Il ritorno fu silenzioso come al solito. Quattro militari armati, Diller e la sua squadra più il Maggiore Diaz erano seduti con loro; con i due alla guida facevano sette guardiani a sorvegliarli. Henry sapeva che ogni tentativo di evasione sarebbe andato male, eppure faceva proprio fatica a rassegnarsi.
Ogni volta che il veicolo prendeva un dosso o faceva una curva, lui ne risentiva in maniera amplificata sul corpo dolorante. Quando arrivarono al quartier generale, Colin gli offrì di nuovo la spalla e, insieme a tre della scorta, salirono al ventitreesimo piano. Gli altri rimasero in attesa con Sonya.
In ascensore, Diaz fece schioccare la lingua mentre fissava Henry. «Man-
da a chiamare il dottor Moore» ordinò a uno dei due militari.
«Sì signore» rispose questi. Quando gli altri uscirono dalla cabina, rimase all’interno e spinse il bottone di un altro piano.
Henry non aveva ancora ben chiaro come avessero riarredato il grattacielo, e non fu in grado di leggere il numero sul pulsante. Lasciò che Colin lo trascinasse nella sala più grande, mentre i militari davano il cambio a quelli al posto di guardia all’ingresso, a qualche metro dall’ascensore.
C’erano ancora dei teli al posto delle porte, i lavori non erano mai stati completati. Il suo animo si incupì nel rivedere quei quattro alloggi fatti di spesse sbarre di metallo. Il posto in cui aveva dato il primo bacio a Emily e dove amava rifugiarsi con lei prima che tutto precipitasse. Prima che Christian finisse in coma e che lei decidesse di rimanere accanto a lui.
Adesso quel posto era diventato la sua prigione.
Una vita in gabbia.
Era questo il suo futuro?
Non avrebbe mai potuto accettarlo.
Si appoggiò alle sbarre e attese che Diaz chiudesse le celle e se ne andasse. Si lasciò cadere sul letto, affondò le mani nella federa del cuscino e tirò fuori un paio di occhiali dalla montatura bianca con le lenti rettangolari. Una di queste era spaccata in un punto da cui partivano delle ramificazioni. La sfiorò con il pollice. La vista si appannò, gli occhi si erano riempiti di lacrime.
Si raggomitolò quando sentì dei passi in avvicinamento. Sonya venne scortata dai militari e rinchiusa nella sua cella.
Henry emise un singulto, rannicchiato con la testa sul cuscino e gli occhiali stretti al petto. Trevor gli mancava. Non aver potuto vedere il suo corpo per salutarlo un’ultima volta era un peso troppo grande da sopportare.
«Devi stare calmo, Henry» parlò Colin all’improvviso, a bassa voce. «Vuoi farti ammazzare?»
«Sarebbe meglio» bofonchiò lui, e lo guardò sottecchi.
«Se continui così, nemmeno più la morfina ti farà effetto.» Colin spostò la sedia e si mise a cavalcioni al contrario.
Henry si sedette sul materasso, le molle cigolarono. «Come fate voi due a essere calmi? Vi sta davvero bene questa situazione?» Si affacciò a guardare Sonya, distesa sulla brandina a pancia in su e braccia piegate sotto la testa. Il cuscino a sollevarle le ginocchia. Henry sospirò.
«Devi stare calmo. Te lo ripeterò all’infinito» riprese Colin. «Vedrai che le cose cambieranno presto. Max starà cercando una soluzione.»
«Max?» sbottò Henry alzandosi di scatto per reazione. Le gambe deboli lo fecero crollare in ginocchio sul pavimento gelido. «Max non c’è! Se n’è fregato e ci ha abbandonati…» come Emily, pensò, ma non lo disse ad alta voce. In fin dei conti, lei aveva scelto Chris e lui l’aveva allontanata. Adesso gli sembrava una reazione da bambino capriccioso. Poi il loro mondo si era stravolto e di punto in bianco lei aveva smesso di andare a trovarlo.
Erano trascorsi più o meno cinque mesi.
Già.
Non si erano più parlati dal giorno in cui era morto Oliver.
Ora che Misael si è rivelato, Max è costretto a stipulare nuovi accordi per liberare sua figlia Sofia dalle tenebre.
La Squadra Omega deve affrontare pericoli tanto inattesi quanto mortali e scendere a compromessi per opporsi al male. Altri segreti vengono svelati, con Lucifero che fa vacillare le certezze di ognuno.
Ma Misael è infido e i suoi piani causano una lunga scia di sangue. Stavolta, Max dovrà sacrificare se stesso per ribaltare le sorti della guerra.
I legami delle tenebre è una saga dark urban fantasy con elementi crime e mystery.
Accordi è il secondo volume della trilogia.
Darkness Ties Saga è scritta da Francesca Caizzi e pubblicata da Plesio Editore.